Di Marco Vigliani
Pubblicata il 23/03/2020

Non amano definirsi, ed ovviamente a ragione, una “banda” in senso stretto e didascalico, di sicuro non sono portavoce della tradizione in senso letterale. Però a mio modo di vedere le cose, sono custodi della fantasia che l’artista visionario deve avere, conservare, alimentare in ogni angolo della quotidianità. Francesco Sossio Sacchetti e la sua banda, la Sossio Banda, festeggiano 10 anni di grande carriera con un disco davvero molto interessante dal titolo “Ceppeccàt” dedicato ai vizi capitali dell’uomo. Sette brani – ovviamente sette – nuove scritture e nuove trame di vita, dell’uomo, delle fragilità, delle sue represse verità. E non è tradizione dicevamo, ma è contaminazione piuttosto: dai Balcani al pop, dal concetto vero di fusion alle radici di jazz – mi venga concesso l’ardito accostamento. E sono artisti e non meri esecutori e didatti armati di strumento per arricchire un organico. “Ceppeccàt” è un disco dove dentro ci troveremo molto più di quello che una parola semplice come banda preclude o promette.

La tradizione bandistica pugliese… in qualche modo la state tenendo bene in salute o sbaglio?

Non sbagli, le nostre Bande godono ancora di buona salute essendo ancora tra le più rinomate a livello Nazionale e le più richieste nelle feste patronali soprattutto qui al Sud.
Grazie al lavoro di recupero e promozione di alcuni grandi musicisti pugliesi, la Banda è stata esportata anche all’estero in contesti musicali inarrivabili ed inimmaginabili fino a qualche tempo fa: Jazz Festival, Festival Internazionali di world music etc.

Ne cito uno su tutti ed è il M° Pino Minafra ideatore e direttore artistico del Festival Internazionale “Talos” di Ruvo di Puglia (Ba), che ha dato al suono della Banda, un ruolo sempre più centrale e fondamentale, affiancandolo al Jazz, alla musica contemporanea e coinvolgendo musicisti straordinari provenienti da tutto il mondo.

Minafra è anche il leader della MinAfric Orchestra con cui ha suonato in numerosi festival internazionali; e ancora, penso al M° Cesare dell’Anna e ai tanti gruppi pugliesi che pongono al centro delle loro composizioni, fiati e strumenti tipici della banda e riescono ad esportarne il suono in tutto il mondo.

Unico grande neo, oggi, è la difficoltà a formare nuovi giovani musicisti, interessati a suonare e studiare strumenti meravigliosi e meno diffusi come trombone, tuba, flicorni, etc., perché anche se le bande storiche e più famose resistono, vanno via via scomparendo le piccole bande di paese, fondamentali per il primo approccio da parte dei bambini.

Tablet, smartphone e Palystation purtroppo distraggono sempre più i ragazzi dallo studio della musica, sicuramente più impegnativo.
Con la Sossio Banda cerchiamo di prendere il suono della banda e di “sporcarlo” un po’ con le tradizioni a noi più vicine, come quella dei Balcani, del Medio Oriente e delle culture del Mediterraneo in generale.

Le tradizioni, la cultura delle nostre radici, sono le prime cose che dimentichiamo in questa vita digitale… non trovate?

No, non sono d’accordo: la quantità impressionante di informazioni (libri, documenti, trattati, saggi, audio file, video) presenti in rete e fruibile per lo più gratuitamente, non ha precedenti nella storia dell’uomo e questo vale anche per la tradizione e per la cultura popolare.

Paradossalmente oggi c’è tanta “tradizione” in più rispetto al passato, almeno dal punto di vista della conoscenza e dell’accessibilità.
Personalmente credo che ci sia un errore di fondo e cioè quello di associare la tradizione al passato, agli usi e ai costumi, a qualcosa di antico e superato, magari presente solo nei racconti degli anziani.
Entriamo per un attimo in campo filosofico: per le genti che vivevano il presente di quella che per noi oggi è tradizione, cos’era la tradizione? C’è un inizio? Una fine? Domande a cui non si sa e non si può rispondere. A mio modesto parere, la tradizione è qualcosa di vivo, di presente nel presente: il nostro dialetto, i nostri atteggiamenti e la nostra mentalità; la tradizione è il nostro Dna.

Certamente si rinnova, cambia faccia e modalità di espressione, ma in realtà noi siamo quelli che siamo stati e saremo in parte quello che oggi siamo: ora è tradizione.

Voi la edulcorate in qualche modo, ne trasgredite ai dettami dei puristi contaminandola anche con le “regioni” vicine… troppa violenza per chi è purista? Vi siete mai scontrati con loro? So che c’è sempre una dura lotta su questi fronti…

Di certo per i puristi, soprattutto da un punto di vista filologico e musicale, noi non siamo un gruppo di musica tradizionale o popolare che dir si voglia. Come dargli torto? D’altronde noi non abbiamo mai detto o pensato di esserlo. Fondamentalmente suoniamo brani di nostra composizione creati con sensibilità e vissuto del XXI secolo e quindi operiamo in campi completamente diversi tra loro; certo usiamo gli stessi ingredienti per le nostre ricette (dialetto, ritmi, strumenti appartenenti alla musica popolare etc.), ma creiamo “delizie” differenti.
Non abbiamo mai avuto uno scontro con loro, anzi c’è sempre stato grande rispetto reciproco.

La violenza magari potrebbe essere suonare Pizzicarella con le chitarre elettriche o la Tarantella del Gargano con i synth, ma allo stesso tempo credo che ognuno sia libero di fare ciò che ritiene più opportuno, è sempre il pubblico il giudice supremo. Sono convinto inoltre, che le nostre radici non siano soltanto in Puglia o sulla Murgia, ma affondino nell’intero bacino del Mediterraneo soprattutto in quelle regioni geograficamente più vicine, Balcani in testa.

Noi siamo meticci e questa è la ricchezza più grande che abbiamo, i nostri tratti somatici ci raccontano tutta la nostra meravigliosa storia.

Una domanda bizzarra e divertente. Di questi vizi capitali qual è quello che sicuramente appartiene di più alla vostra musica?

Quello dell’Ira sicuramente, che ci ha dato spesso la forza e la spinta di affrontare periodi difficili, e che ha alimentato anche sentimenti di orgoglio e un pizzico di follia che ci hanno spinto a fare cose incredibili.
D’altronde una delle caratteristiche dell’Ira è proprio quella di dar forza e voce ai popoli oppressi e a chi non ha più nulla da perdere, facendo venir fuori lati e caratteri nascosti e latenti inimmaginabili.

Noi l’abbiamo usata anche per gridare al mondo le nostre ragioni, i nostri valori ricchi di messaggi di pace e di fratellanza contenuti nei nostri brani, anche attraverso la denuncia di comportamenti spesso disumani ed inaccettabili.

A chiudere: un prossimo video in cantiere?

Si, dopo il video “L’avaro” stiamo completando le sceneggiature della Lussuria (track Lui e Lei) e dell’Accidia (track Timbe) e credo che entro la fine dell’anno ne vedremo e sentiremo delle belle.